Febbraio – 13

On 25 Novembre 2013 by admin

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Il mio condominio è amministrato da un avvocato che svolge questa professione come professione parallela alla sua attività principale di avvocato. Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere in più articoli di riviste e su internet che gli avvocati non possono più fare gli amministratori di condominio. Ma questa è la conseguenza della riforma del condominio? L’avvocato, del quale ho molta stima, dovrà smettere di amministrare il condomino?

 

Egregio Lettore,

dalle informazioni in mio possesso, per gli avvocati non è stata definitivamente determinata l’impossibilità di amministrare i condominii. La riforma del condominio non ha nulla a che vedere con l’argomento.

Il divieto era contenuto in una risposta diffusa nei giorni scorsi in internet dal Consiglio Nazionale Forense (CNF), secondo cui l’attività di amministratore di condominio, costituendo una attività di lavoro autonomo, continuativa e professionale, risulta incompatibile con lo svolgimento della professione di avvocato.

Di fatto la questione è controversa, tant’è che la risposta è scomparsa dal web e contemporaneamente il CNF, su diversi canali d’informazione, ha diffuso la notizia che sta approfondendo la questione.

L’interpretazione iniziale del CNF che ha originato la questione si fonda sulla Legge 4/2013 la quale conferisce professionalità alle categorie dei professionisti senz’albo, tra le quali l’amministratore di condominio. Pertanto, essendo l’attività di amministratore di condominio come un’attività continuativa e professionale, a sensi della riforma forense (Legge n. 247/2012) e della norma sui professionisti senz’albo (Legge 4/2013), il CNF ha ritenuto di dover escludere la possibilità per l’avvocato di esercitare qualsiasi attività di lavoro autonomo svolta continuamente o professionalmente, fatta eccezione alcune attività espressamente previste per legge.

Tuttavia, la compatibilità delle due professioni sembrerebbe derivare invece proprio dalla lettura combinata delle due leggi succitate: ovvero prendendo a riferimento la Legge 4/2013, con riguardo ai professionisti di cui all’articolo 1, comma 2 (professioni non regolamentate), la stessa statuisce che “anche se iscritti alle associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti e l’iscrizione al relativo albo professionale”. Quindi chiunque fosse in grado di dimostrare il possesso dei requisiti per l’iscrizione al relativo albo (anche a quello degli avvocati) potrebbe ricoprire il doppio ruolo. Con questa chiave di lettura, i divieti posti dalla riforma forense potrebbero essere superati a distanza di pochi giorni dalla legge sulle professioni non regolamentate (personalmente la ritengo un’interpretazione forzata, forviante dall’impostazione voluta dal legislatore).

Per sostenere la compatibilità delle due professioni, avvocato e amministratore di condominio, bisogna interpretare la Legge in maniera estensiva. In effetti sarebbe un ritorno all’impostazione ante riforma, ovvero all’interpretazione possibilista del CNF espressa nel 1995, nel 2000 e ribadita nel 2009.  Interpretazione all’epoca nascente dal fatto che l’incompatibilità rappresenta una restrizione dei diritti soggettivi e che le norme debbono essere applicate senza letture estensive. Pertanto, rilevato che l’amministratore è nominato dall’assemblea dei condomini e può essere da questa in ogni tempo revocato (aspetti tutt’oggi confermati dalla Legge 220/2012 – riforma del condominio), il CNF osservava chiaramente che non sussisteva alcun vincolo di subordinazione tra il mandante (condominio) e il mandatario (amministratore): conseguentemente l’attività inerente all’incarico di amministratore in forma completamente indipendente poteva essere svolta in modo compatibile con la professione di avvocato. Anzi, in assenza di un albo degli amministratori, il professionista può svolgere detta attività restando vincolato alle norme deontologiche degli avvocati e alla disciplina del Consiglio dell’Ordine di appartenenza.

Contrariamente, partendo proprio dall’assunto adottato dal CNF prima della riforma forense, ovvero dovendo applicare le norme senza alcuna lettura estensiva, alla luce delle recenti leggi emanate emergono cause di effettiva incompatibilità tra le due professioni in quanto l’attività di amministratore di condominio è diventata un lavoro autonomo, svolto in modo continuativo e professionale, restando quindi escluso dalla riforma forense che nega all’avvocato la possibilità di esercitare qualsiasi attività di lavoro autonomo, continuativo o professionalmente, fatte salve alcune eccezioni tassative tra le quali non compare l’amministrazione dei condomini.

 

Sull’argomento è intervenuta l’Associazione Nazionale Avvocati Italiani. Tramite il presidente Maurizio De Tilla elenca le possibili attività dell’avvocato: costui assiste e difende in giudizio il cittadino, può esprimere pareri e svolgere attività di consulenza, può assumere la funzione di arbitro, di mediatore, di custode giudiziario, di amministratore giudiziario, di curatore, di consigliere di amministrazione nelle società di capitali e anche l’incarico di amministratore di condominio. Tutte attività e funzioni connaturate alla specifica preparazione. Quindi, secondo l’ANAI, la recente interpretazione del CNF, attualmente oggetto di approfondimenti da parte del Consiglio, precluderebbe l’attività di amministratore di condominio sulla base di un’errata interpretazione del nuovo articolo 18 riguardante le incompatibilità dettate dalla riforma forense ed impedirebbe, specialmente ai giovani, di trovare occasioni di lavoro remunerativo per competenze che proprio gli avvocati posseggono. Tra l’altro trattasi di attività che può essere svolta da  tutti coloro che posseggono i previsti requisiti di professionalità e integrità morale.

 

Concludendo, finché non vi sarà un’espressione definitiva sull’argomento da parte del CNF, l’avvocato può restare in carica: al momento sarebbe opportuno lasciare allo stesso la facoltà di scegliere se mantenere o meno l’incarico in funzione delll’interpretazione della Legge emanata.

 

Sperando di esserle stato d’aiuto, porgo

 

Distinti Saluti

Vincenzo CAPOBIANCO

 

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